Ci sono storie che cominciano quando ancora nessuno osa prenderle sul serio. È la primavera del 2023 e, in Italia, comincia a circolare il nome di Mateo Retegui, attaccante con la garra argentina addosso e il sangue azzurro nei documenti. In un colpo di scena degno della sua carriera, Roberto Mancini lo convoca nella Nazionale maggiore, sorprendendo un Paese intero: Retegui, a quel tempo, è il centravanti del Tigre, ancora formalmente di proprietà del Boca Juniors, e in Europa il suo nome è poco più di un’eco lontana.

Non per tutti, però. Alla Juventus, abituata a scrutare il futuro prima degli altri, il suo profilo era già stato segnato sui taccuini più importanti. Con attenzione, senza clamore. Sapevano che Retegui non era soltanto un attaccante di peso, un combattente d’area e un rapace da gol: c’era in lui qualcosa di più sottile, un potenziale nascosto che aspettava solo il momento giusto per sbocciare davvero.

Un giro particolare

Il Tigre, che aveva visto sbocciare quel talento, non perse tempo: 2,3 milioni di euro e il cartellino diventò suo. Un investimento rapido e mirato, perché l’interesse intorno a Retegui cresceva a vista d’occhio, anche al di là dell’oceano. Lo stesso Mateo, intervistato dalla Gazzetta dello Sport, lasciava trapelare sogni e ambizioni con la timidezza di chi sa che il proprio tempo sta arrivando: “Mi piacerebbe molto venire in Italia, ma è ancora molto presto. Sarebbe bellissimo diventare un protagonista del campionato, uno che segna tanti gol. Ora sono concentrato sul Tigre al 100%”.

L’approdo al Genoa

Nessuna promessa vuota, nessuna fuga in avanti: nei piedi, Retegui aveva concretezza; nelle parole, la saggezza di chi conosce il valore della pazienza. E così, nel luglio dello stesso anno, fu il Genoa a muoversi più rapidamente degli altri: 15 milioni di euro e Mateo sbarcò in Serie A. Un’operazione costruita con lucidità, senza clamori mediatici. La Juventus, dal canto suo, osservava da lontano: non per mancanza di interesse, ma perché l’operazione avrebbe richiesto risorse e spazi tecnici che, in quel momento, erano destinati altrove.

E la Juve?

Non fu una bocciatura, né tantomeno un disinteresse. Piuttosto, una valutazione ponderata: Retegui veniva considerato pronto per un salto importante, ma non ancora indispensabile per i piani immediati di una Juventus impegnata in una delicata ricostruzione tecnica ed economica. Eppure, quell’attenzione non si è mai spenta del tutto. Perché nel calcio i fili si intrecciano, si tendono, si allentano e poi, all’improvviso, si riavvicinano.

Oggi Retegui gioca in Italia e ha mostrato, proprio all’Atalanta, quel senso del gol che aveva fatto brillare gli occhi ai primi osservatori bianconeri. La sua strada è ancora lunga, proprio come lo era in quel marzo del ’23. Ma certe storie, anche solo sfiorate, non si cancellano. E chissà che un giorno, compiuto il giro completo, Mateo non torni a bussare a quella porta che allora aveva solo sognato di attraversare.

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